In questa ultima settimana Greenpeace ha diffuso due importanti notizie su due temi in cui l’organizzazione è storicamente impegnata. OGM e pesticidi.

La prima riguarda un nuovo test, il primo accessibile liberamente, in grado di distinguere un organismo ottenuto tramite editing genetico (in questo caso una varietà di colza resistente agli erbicidi sviluppata dall’azienda biotech Cibus), da un organismo in cui eventuali mutazioni genetiche siano occorse in modo naturale. Si tratta di una novità non da poco, poiché smonta l’argomento principale a sostegno dell’impossibilità di regolamentare questi “nuovi” OGM secondo la normativa europea sugli OGM, come invece stabilito dalla Corte di Giustizia europea, la quale prevede che possano essere immessi sul mercato solo se opportunamente etichettati e dopo aver superato un preciso iter autorizzativo.  La scelta della Corte si basa sul principio di precauzione che ispira le leggi europee in questo campo: non si si può infatti escludere che queste tecniche provochino alterazioni genetiche non intenzionali, che possono influire sulla sicurezza di questi prodotti per le persone e per l’ambiente

Le principali aziende biotech, così come alcuni governi e addirittura alcune autorità di regolazione, hanno finora sostenuto che non fosse possibile applicare questo regolamento anche a prodotti ottenuti tramite editing genetico, proprio in virtù dell’impossibilità di rilevare le modifiche indotte tramite queste tecniche. Si dimostra che questo è invece possibile e non solo per la varietà di colza presa in esame, poiché lo stesso approccio sperimentato in questo test può essere utilizzato per sviluppare metodi di rilevamento per la maggior parte delle colture OGM ottenute tramite editing genetico, utilizzando procedure e apparecchiature simili a quelle già in funzione presso la maggior parte dei  laboratori europei preposti a questo tipo di indagini. 

Qui è possibile leggere maggiori dettagli e accedere alla ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Foods.

La seconda notizia riguarda invece la produzione e il commercio di pesticidi il cui uso è vietato all’interno dell’Unione europea. Un’inchiesta ha svelato come alcune di queste sostanze, vietate in Europa per i rischi che rappresentano per salute o ambiente, continuano ad essere prodotte in grandi quantità da aziende europee ed esportate in tutto il mondo, principalmente (oltre la metà)  in Paesi in via di sviluppo.

Purtroppo l’Italia ha un triste primato in questo campo: primo Paese dell’Unione europea per volumi di esportazione nel 2018, secondo solo al Regno Unito, che ora, in seguito alla Brexit, non è più parte della Ue. 

Oltre alle implicazioni etiche, per le quali è inaccettabile che una sostanza considerata pericolosa “a casa nostra” sia invece considerata adeguata per essere esportata in altri Paesi, esiste un’implicazione molto pratica: da alcuni di questi Paesi importiamo alimenti che finiscono sul mercato Europeo. E’ evidente come l’unica strada da seguire, nel rispetto dell’ambiente e della salute di tutte le popolazioni, sia quella di vietare definitivamente la produzione di queste sostanze tossiche.

Qui maggiori informazioni e il link all’inchiesta pubblicata su Unearthed